Canto di Sarajevo
Il tram colorato sfida il viale
Che fu dei cecchini
Attraversa rumoroso la strada
Calda di primavera a Sarajevo.
Il giorno duemila significa
Che non c’è più il fucile
Ad aspettare la donna
Uscita a fare la spesa.
Non c’è più neanche quella donna.
Corrono col tram dietro i vetri
I visi di altre donne nel dopoguerra
Il vestito e il trucco nuovo
Il giorno atteso di festa.
Non raccontano al primo venuto
Le loro indicibili sofferenze
Di bambine smarrite e la paura
Di madri di figli partiti spariti
Dalla guerra inghiottiti.
Lungo le vie il popolo della Bosnia vive
Senza chiedersi come sia potuto accadere.
Testimone muto il muro in mille fori
Artistico ghirigoro eco di anni senza silenzio
Ora regna tra le carcasse di auto
Da portar via e i grattacieli
Ricostruiti a fianco degli scheletri
Di cemento è stato dicono
E non possono mentirci.
Sotto i ponti di metallo scorre la vita
In tempesta color amaranto
Il sangue versato prosciugato
È diventato vendetta.
Canta ora il dio delle moschee
Un minareto all’opposto della valle
Risponde e diffonde il pianto
Dell’umanità disgraziata e ci regala
Il desiderio di pace sulla città.
Un contadino ha deposto il fucile
Con la vanga dissoda il campo
Vicino il figlio salta e gioca
Come in ogni luogo del mondo
Il padre ha il viso di rughe profonde
E gli stivali dei cosacchi.
E’ stato un soldato e il canto di Sarajevo
Era per lui l’ululato dei mortai dalle colline
La sua guerra santa contro
La guerra santa degli altri.
I suoi figli adesso correranno su una terra
Che fu degli ottomani e degli asburgo
Qualcuno gliela fece sognare serba
Non sarà di nessuno, solo di chi
Saprà sopravvivere al fratricidio.
I suoi figli lo sa avranno vacche denutrite
L’odio e la vendetta dei figli di altri soldati
Forse non moriranno presto su una mina
Lasciata lì da chissà quale nemico.
I suoi figli avranno montagne e abeti
Inverni gelidi e di nuovo il canto dell’estate
Si diffonderà su Rogatica e Sarajevo
Umiliati, dimenticati avranno vinto lo stesso
Loro bambini che corrono lungo la strada
Gli stessi di Pec o di Mogadiscio
E noi grandi soldati che non sappiamo
Distinguere se serbi o croati o musulmani
Ci fanno abbassare le armi e lo sguardo
Ci illuminano il cuore di uomini lontani da casa.
Quelle voci di bambini
Vengono a dirci in una lingua ignota
Ma così facile da capire
Che il canto di Sarajevo
Non è il silenzio della città vuota
Perché loro non possono morire.
Giuseppe MARCHI