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venerdì 29 agosto 2008

Canto di Sarajevo

Il tram colorato sfida il viale

Che fu dei cecchini

Attraversa rumoroso la strada

Calda di primavera a Sarajevo.

Il giorno duemila significa

Che non c’è più il fucile

Ad aspettare la donna

Uscita a fare la spesa.

Non c’è più neanche quella donna.


Corrono col tram dietro i vetri

I visi di altre donne nel dopoguerra

Il vestito e il trucco nuovo

Il giorno atteso di festa.

Non raccontano al primo venuto

Le loro indicibili sofferenze

Di bambine smarrite e la paura

Di madri di figli partiti spariti

Dalla guerra inghiottiti.


Lungo le vie il popolo della Bosnia vive

Senza chiedersi come sia potuto accadere.

Testimone muto il muro in mille fori

Artistico ghirigoro eco di anni senza silenzio

Ora regna tra le carcasse di auto

Da portar via e i grattacieli

Ricostruiti a fianco degli scheletri

Di cemento è stato dicono

E non possono mentirci.


Sotto i ponti di metallo scorre la vita

In tempesta color amaranto

Il sangue versato prosciugato

È diventato vendetta.

Canta ora il dio delle moschee

Un minareto all’opposto della valle

Risponde e diffonde il pianto

Dell’umanità disgraziata e ci regala

Il desiderio di pace sulla città.


Un contadino ha deposto il fucile

Con la vanga dissoda il campo

Vicino il figlio salta e gioca

Come in ogni luogo del mondo

Il padre ha il viso di rughe profonde

E gli stivali dei cosacchi.

E’ stato un soldato e il canto di Sarajevo

Era per lui l’ululato dei mortai dalle colline

La sua guerra santa contro

La guerra santa degli altri.


I suoi figli adesso correranno su una terra

Che fu degli ottomani e degli asburgo

Qualcuno gliela fece sognare serba

Non sarà di nessuno, solo di chi

Saprà sopravvivere al fratricidio.

I suoi figli lo sa avranno vacche denutrite

L’odio e la vendetta dei figli di altri soldati

Forse non moriranno presto su una mina

Lasciata lì da chissà quale nemico.


I suoi figli avranno montagne e abeti

Inverni gelidi e di nuovo il canto dell’estate

Si diffonderà su Rogatica e Sarajevo

Umiliati, dimenticati avranno vinto lo stesso

Loro bambini che corrono lungo la strada

Gli stessi di Pec o di Mogadiscio

E noi grandi soldati che non sappiamo

Distinguere se serbi o croati o musulmani

Ci fanno abbassare le armi e lo sguardo

Ci illuminano il cuore di uomini lontani da casa.


Quelle voci di bambini

Vengono a dirci in una lingua ignota

Ma così facile da capire

Che il canto di Sarajevo

Non è il silenzio della città vuota

Perché loro non possono morire.


Giuseppe MARCHI

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