Non vi dirò chi sono né perché viaggio. Sappiate che però non c’è nessun segreto da scoprire per voi, dietro questa mia reticenza. E’ solo superfluo: ci sono mille motivi per partire ed intraprendere il viaggio. Quando invece tu dici “per lavoro” oppure “ in vacanza”, allora diventa un viaggio, proprio quel viaggio lì, che hai cominciato pieno di bagagli e finito portando con te qualche foto e souvenir. Quello che io vi racconto invece è il viaggio, senza nome e senza tempo. Infatti non vi rivelerò la data ne in cima ne in calce alla pagina. Vi dirò invece il come e il dove e questo, vi assicuro, sarà abbastanza. Lasciare la famiglia, per chi ha la fortuna di avercene una, è un piccolo sacrificio che il viaggio impone. Un fugace bacio all’aeroporto e qualche secondo di solitudine mentre lei svanisce sulla scala mobile. Poi qualche secondo ancora per rompere il ghiaccio coi nuovi compagni di viaggio. Perché una cosa è viaggiare soli, un’altra condividere il viaggio.
I voli di oggi, almeno quelli in Europa, non sono più liturgici come quelli di una volta. Ti sedevi nel tuo comodo sedile, ti coccolava la hostess, “a drink, please”, poi il tempo volava via mangiando il sobrio vassoio che emulava un pranzo. Ora niente. Due ore stretto tra gli altri passeggeri e se vuoi bere “How much?”. Così arriviamo a Madrid. E questo è il dove! L’hotel a 5 stelle nel quartiere commerciale di Salamanca è abbastanza spagnolo nel servizio, non so se mi spiego. Spero di non offendere nessuno, ma non siamo tutti un po’ mediterranei per caso.
Mi concedo il caldo confort di una doccia, prima di un giro per la città. I grandi viali intravisti dal bus, sembrano boulevard di Parigi. Il museo appena scorto di fretta in mezzo ai turisti, chiacchierando in modo ameno con lo sconosciuto compagno di viaggio.
Il grottesco di certe tele altera il sacro, quel fiammingo che voleva castigare i costumi ma è più licenzioso del suo intento e la sua fantasia macabra si inventa il più assurdo giardino delle delizie.
Poi il nero di ombre e mostri ci inghiotte, noi figli di Saturno. Resto deluso perché non c’è quella fucilazione che sembra una crocifissione. Ed è la seconda volta che vengo a Madrid e non riesco a vedere Guernica. “La guerra civile, del bene contro il male”. Che annunzia il disastro di tutti i disastri. Quella storia vera che mia madre mi ha raccontato, quando i bengala illuminavano la strada tra Roma e Cassino, e che per fortuna mia figlia non vedrà. La leggerà sui libri di Storia, la guerra, ma non sarà la stessa cosa. Sarà diversa da mia madre che l’ha vissuta e noi sentita raccontare. Magari i lager, i bombardamenti sulle città, i rastrellamenti, le sembrerà che siano stati impossibili in questa pacifica Europa. Dopo tutto, il mondo che le lasciamo è migliore, sarà anche migliore lei.
Amo il cibo spagnolo, paella, gaspacho, jambon iberico, tapas. Che elenco! Vi è venuta fame? Mi riporto qualche chilo di troppo dal viaggio! E un caldo sapore di flamenco, che mi riesce ad emozionare sempre. Il canto gitano, d’amore e sofferenza, che la Spagna ha saputo fare suo, che è di tutti noi, viaggiatori del mediterraneo, greci, fenici, punici e romani. Europei. La vera radice d’Europa è il sole che picchia sulle case bianche, sulle onde di questo mare, sulla pelle di uomini e donne che hanno viaggiato a portare la storia e la cultura per le pianure d’Europa.
Un ultimo ricordo che mi porto via da Madrid è un fatto accaduto a Porta del Sol. Ero impegnato in qualche passo, sotto la pioggia peraltro, per l’immancabile acquisto, ma d’incanto mi sono ritrovato a percorrere le strade di 15 anni prima, la foto alla statua dell’orso, l’incanto di entrare nell’asburgica Plaza Major. Come un deja vu’, ho ascoltato i miei passi sotto i porticati e bevuto un caffè in quel bar pieno di teste di toro e foto di corride.
Sono tornato a Lisbona dopo otto anni. Hanno di certo compiuto qualche passo in avanti verso l’Europa, non ancora il gran balzo della Spagna, che ha messo la freccia per il sorpasso.
Chissà quanto è costato loro questo piccolo cambiamento. Le case sono ancora scrostate, i tram tentennanti, sulle ardue salite. Non ci sono più gli ambigui cambiatori di escudo clandestini, ma qualche figuro che ti sussurra “ cannabis, cocaina” ancora lo trovi sul Barrio Alto.
Anche qui sono andato di ricordo in ricordo, ma il deja vù non mi inquieta più, non mi commuove, vuol dire che mi sono abituato e non mi sorprende più.
E’ tutto un gioco questo viaggio, ti porti con te come una maschera, un ruolo da attore. E allora giochiamo per i saliscendi di Lisbona, percorsi dal tram, e una torre battuta dalle onde del mare, ma è un inganno anche questo, una delle magie di questa città, perché si tratta di un fiume. Il largo estuario del Tago che va a morire nell’oceano, che s’apre qualche chilometro più in là.
E’ tutto qualche passo più in là, a Lisboa. “Triste lugubre pioggia, litanìa alla finestra” dice il poeta.
E sogna. La nebbia a Belem dirada e arriva una caravella, beccheggiando, ondeggiando. Tocca il molo e scompare. La vela è come un sudario e avvolge il poeta perché Lisbona è come la morte.
Così pressappoco la lascio, in una mattina di sole, alla conclusione del sogno. Alla fine del viaggio.
Giuseppe Marchi